articolo che ho pubblicato su LetteraDonna/Elle.
Dopo la pubblicazione dell’articolo sul bullismo ai danni dei prof, tra gli insegnantiche mi hanno scritto c’è Francesco, omosessuale, che insegna matematica in un liceo del Nord Italia e ha fatto coming out anche a scuola. È di ruolo da tre anni e adora il suo lavoro, nonostante tutto.
Nonostante sia stato vittima di due episodi di bullismo molto gravi, uno da parte di un’alunna, l’altro da parte di un gruppo di mamme su Whatsapp. Andiamo con ordine.
Francesco doveva fare una supplenza in una classe prima per sostituire una collega. A metà lezione ha concesso agli studenti di ripassare storia per l’ora successiva. Quando una ragazza gli ha chiesto il permesso di ascoltare un po’ di musica con il telefonino lui («Ingenuamente, lo ammetto» dice oggi) ha acconsentito. La ragazza invece ha girato un video che la riprendeva con i vicini di banco; un video innocente, dei saluti e delle boccacce, che ha però postato su Facebook con queste due righe di premessa: «Ciao a tutti dalla prima B, c’è qui quel finocchio di matematica».
IMPARARE A CHIEDERE SCUSA
Ovviamente il video è arrivato anche nelle classi in cui insegna Francesco. Alcune alunne sono insorte in sua difesa e ne hanno chiesto la rimozione; il video è stato quindi rimosso il giorno stesso, ma oramai era diventato virale e l’indomani Francesco ne è venuto a conoscenza. Ha subito convocato l’interessata per un colloquio informale in corridoio. «La cosa incredibile», ricorda Francesco, «è che quando le ho chiesto come mai avesse girato il video la prima cosa che ha detto è stata Ma io mi sono già scusata. Le ho chiesto Con chi? e mi ha risposto che aveva postato su Facebook uno status di scuse, come se fosse il presidente degli Stati Uniti che dopo una gaffe pubblica si scusa con una dichiarazione in conferenza stampa».
EDUCARE AL RISPETTO
«Le ho detto che sono un adulto», continua Francesco, «e che pertanto ho una corazza che mi sono costruito negli anni e che mi protegge dall’omofobia. Ma l’ho invitata a pensare che effetto poteva aver avuto quel suo post sui suoi compagni omosessuali, che la corazza hanno appena cominciato a costruirla. Ho percepito un magone che, mano a mano che le spiegavo come ci si sente, si è tramutato in lacrime e dissociazioni dall’omofobia e scuse sentite, rivolte direttamente al sottoscritto. Come avrebbe dovuto essere fin da subito». Quello che racconta Francesco mostra che all’origine del comportamento di quella 14enne, con cui alla fine dell’incontro ha stretto un patto di alleanza contro le battute omofobe e tutte le forme di discriminazione, c’è una grande mancanza di consapevolezza.
QUESTIONI DI IMMAGINE
Ha deciso comunque di informare dell’accaduto la coordinatrice di quella classe. Non con intenti punitivi, ma chiedendo un incontro sui temi dell’omofobia e sulle responsabilità della comunicazione social (c’erano gli estremi per una denuncia per diffamazione), così da trasformare un episodio negativo in occasione di dialogo. La collega ha convocato invece un consiglio straordinario tutto incentrato su un’azione disciplinare (la ragazza è stata infatti sospesa) e che ha rifiutato qualsiasi iniziativa per la classe per non danneggiare l’immagine della scuola ed essere attaccati dai quotidiani locali e dalle famiglie (i danni li ha fatti la fantomatica teoria del gender inventata dai fondamentalisti cattolici). «Queste paure sono più difficili da affrontare della stessa omofobia» dice Francesco.
MAMME WHATSAPP ALL’ATTACCO
Il secondo atto di bullismo di cui Francesco mi racconta ha visto come protagoniste un gruppo WhatsApp di mamme (di una classe quinta, n.d.r.) che nelle loro chat hanno criticato aspramente le sue capacità professionali, parlandone come persona instabile. Nessun riferimento al suo orientamento sessuale, ma Francesco si è chiesto se il presunto squilibrio emotivo e mentale non richiamasse allo stereotipo della malattia.
LA CATTIVERIA CHE NON TI ASPETTI
«Anzichè riconoscere le difficoltà scolastiche dei figli», mi dice Francesco, «si sono accanite su di me. Quando una mamma in disaccordo con questo atteggiamento mi ha mostrato i messaggi, mi sono sentito improvvisamente vulnerabile. Sono sempre stato trasparente e sincero, forse anche per questo sono diventato un bersaglio facile su cui sfogare la propria rabbia. Al di là dei giudizi inconsistenti sulla mia professionalità, che comunque possono rappresentare sempre un’occasione di autocritica, in quei messaggi c’era una cattiveria che mi ha disorientato. Mi sono sentito lapidato, preso a sassate bendato. Nessun confronto guardandosi negli occhi, assumendosi una responsabilità reciproca. Mi sono chiesto Perché non venire a colloquio da me? Perché genitori che non vedo da un anno mi stanno facendo questo? Forse perché io sono il prof sempre disponibile a capire ed accogliere? Sono stato malissimo».
OCCASIONI PERDUTE
In questi anni Francesco ha anche sostenuto il coming out di alcuni studenti, è stato il loro confidente e forse proprio la sua libertà ha insegnato loro a non vergognarsi di sè. Ha ascoltato anche le difficoltà dei genitori, che lo hanno spesso ringraziato. E la madre di una ragazza che ha fatto coming out si trovava in quella chat di gruppo. In quella classe, però Francesco ha finito per irrigidire il suo rapporto con gli studenti, e il suo rammarico è rivolto anche a loro: «Quelle madri hanno dimostrato di essere irresponsabili nei confronti dei propri figli. Con loro ho dovuto interrompere una confidenza di cui erano i primi a beneficiare».
RAGAZZI CHE AVANZANO E ADULTI CHE ARRETRANO
«Tra i colleghi l’accoglienza dell’omosessualità è silenziosa, tra gli adulti manca quel coraggio di mettersi in gioco che hanno invece i ragazzi, tra cui c’è riconoscimento reciproco e abbastanza rispetto». Secondo Francesco, in tema di libertà e diritti gli studenti sono più consapevoli di un tempo: «Se si parla di diritti delle donne, le classi in maggioranza femminili sono un contesto sempre più fertile e propenso al cambiamento. […] Il sessismo rimane forte tra adulti», continua, – «sono anni che sento rivolgere alle colleghe frasi che legano il nervosismo delle donne al bisogno di sesso. L’omosessualità viene comunque meglio accolta in un contesto eccentrico, in qualche modo affascinante e rassicurante nella sua originalità; se io insegnassi arte anzichè matematica, sarei maggiormente compreso».
ALL’IDENTITÀ NON SI RINUNCIA
La cosa più difficile per ognuno di noi è riconoscere i pregiudizi sedimentati a lungo nel proprio profondo e di cui non ci siamo ancora liberati, a dispetto delle migliori intenzioni. L’omofobia lieve, quella inconsapevole e apparentemente non violenta, si manifesta in tante piccole cose, come in questo episodio che Francesco ricorda quasi con tenerezza: «Una collega mi ha detto che nei miei panni non avrebbe fatto coming out per non mettere al centro della mia relazione con i ragazzi e i colleghi solo una parte della mia identità, prevaricante sugli altri aspetti della mia personalità: Finisci per essere il prof gay, mentre sei molte altre cose. Pensava di farmi un complimento. Le ho dovuto spiegare che sarebbe come chiederle di togliersi la fede al dito prima di venire a scuola, nascondere di avere dei figli e una vita per non essere la prof moglie e madre, per scremare la propria identità del proprio privato prima di entrare in classe». Francesco ha imparato a sorridere di queste cose, ma fino a un certo punto: «Cerco di essere inesauribile ma sono stanco, è come cercare di scalare una montagna, credere di aver raggiunto la cima ed accorgersi che invece, lentamente, si sta rotolando a valle». Nel liceo dove insegna ci sono altri tre insegnanti che gli hanno confidato la propria omosessualità. Ma nessuno di loro ha fatto coming out.
LA SAGGEZZA DELL’INFANZIA
Nel 2014 ha fatto il giro del web la lettera che una bambina delle elementari, in Inghilterra, ha scritto al suo maestro dopo che lui aveva fatto coming-out in classe durante un laboratorio sui temi di genere. «We are proud of you» (Siamo orgogliosi di te), gli aveva scritto, perché i bambini sono migliori degli adulti. I bambini non (si) complicano la vita con i pregiudizi, seguono i sentimenti, hanno un approccio più diretto e istintivo con il prossimo. Per questo intervenire nel mondo della scuola sulle questioni di genere deve significare offrire ai bambini strumenti per dare respiro a ciò che sono, per rimanere ciò che sono a dispetto di un mondo adulto presuntuoso e, più o meno consapevolmente, violento.