Con queste scarpe lungo il corridoio mi hanno accolta in una scuola di Milano. Sono scarpe di donne, donne che non ci sono più, donne che le loro scarpe non le potranno più indossare.
Nell’ auditorium c’erano circa 300 ragazze e ragazzi.
Dalle prime file ognuno ha alzato un foglio bianco. Su ogni foglio c’era un nome di donna e la data in cui è stata uccisa, uccisa da un uomo, si chiama femminicidio.
Ho provato una grande riconoscenza.
Per loro, che mi stavano trasmettendo un’ emozione così forte.
Per le loro prof che tanto hanno fatto e tanto continuano a fare per trasmettere una cultura di genere che i programmi ministeriali ignorano, e che loro invece, sostituendo lo stato, propongono da tempo, investendo tempo ed energie che le istituzioni non gli riconoscono.
Ne sto incontrando di prof meravigliose e fino ad ora una sola eccezione al maschile; un pioniere di un modo nuovo di sentrirsi educatore, scrollandosi di dosso il doppio tabù:
parlare di violenza sessuale e femminicidio tra i banchi di scuola e parlarne da maschio tra maschi.
Sono prof che amano i loro ragazzi e le loro ragazze, si fidano di loro. E con loro i ragazzi si aprono, dicono, reagiscono. Più vivi che mai!
Sono uscita di lì piena di energia, e a loro penso oggi mentre leggo di un’altra donna che non potrà più indossare le sue scarpe. Facciamo rete, non ci scoraggiamo, dobbiamo esserci, adesso.
Perchè come ha detto un ragazzo di quinta: il mondo non si cambia lentamente, si cambia di botto!
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