rimini-scuolaQuesta foto mi arriva dalla sala insegnanti di un liceo in Emilia Romagna dove andrò in autunno, per parlare con i ragazzi e le ragazze di omofobia.

Non tanto di omosessualità, ma di omofobia, appunto. Perchè il problema non ce l’ha chi è omosessuale, ma chi pensa che l’omosessualità sia un problema.

Di questo parla la storia di Giulia e Francesca, le giovani protagoniste de “L’altra parte di me“. Sfido chiunque a chiudere il libro senza fare il tifo per questo loro amore splendido, appassionato e ribelle. E senza porsi la domanda “ma io come mi comporterei, quali paure avrei? sono davvero libero, libera?”

Questa foto in una sala insegnanti è stata appesa al muro per dire ai colleghi e alle colleghe che di fronte a questo libro sono “In imbarazzo, lo capisce?” che sul loro imbarazzo dovranno lavorare e su questo incontro dovranno farsene una ragione.

Che gli alunni e le alunne leggeranno che l’amore è amore, che #loveislove, e non c’è niente di cui avere paura.

E che potranno pure avere l’occasione di dire ciò che pensano, raccontandosi le loro emozioni, senza tabù; nel silenzio i muri si fortificano, nel pronunciarli si sgretolano da sè.

Ma le prof e i prof che propongono questo libro a scuola, anche come lettura estiva, hanno sempre a che fare con altr* prof (forse ancor più di qualche preside) che remano contro, che sono in imbarazzo, appunto, e che osteggiano e boicottano le migliori intenzioni.

Molte volte mi viene chiesto di scrivere due righe “rassicuranti”, per presentare l’iniziativa in presidenza. Fa sorridere pensare che nel 2015 ci sia bisogno di “rassicurare” qualcuno che si può parlare di omosessualità e omofobia senza sconvolgere “i nostri ragazzi, le nostre ragazze”, generalmente meno sconvolti e più pronti e pronte degli adulti che li circondano.

Ma chi ha inventato il termine “teoria del gender”, teoria che non esiste, è bene ribadirlo, non fa che terrorizzare insegnanti, presidi e genitori (soprattutto i genitori, spesso pronti ad attaccare le iniziative degli insegnanti invece di fidarsi e lasciarli fare il loro mestiere).

E allora ho chiesto ad una prof di Matera che mi ha scritto entusiasta dopo l’incontro molto partecipato con le sue ragazze e i suoi ragazzi, di scrivere lei due righe “rassicuranti” per i propri colleghi, che qui sotto pubblico per chi avrà voglia di leggerle.

Ma chiudo di dicendovi che quando vado nelle scuole (sia negli incontri sulla violenza di genere che in quelli sull’ omofobia) le prof e i prof lasciano sempre tutto lo spazio alla classe. Se mi siedono accanto stanno zitt”, più spesso si mettono in disparte e non intervengono mai. Insomma lasciano davvero la parola a ragazzi e ragazze, con fiducia, in modalità ascolto (#labuonascuola).

Credo che noi genitori sappiamo farlo meno, e da loro dovremmo imparare (anche io mi porto sempre a casa qualcosa). E saremo liberi -e vivremo meglio- quando l’omosessualità non sarà più un “argomento”, tanto meno “delicato”.

Ecco la lettera da Matera, capitale europea della cultura 2019, da prof a prof.

L’altra parte di me è un libro “buono”. È buono perché racconta una realtà difficile senza crudezze; perché sa proteggere l’innocenza di giovani menti mostrando loro, senza affondi nella violenza, la crudeltà, anche involontaria, che a volte ci si trova ad affrontare e dando loro gli strumenti per riconoscerla e comprenderla e – perché no? – per provare a cambiarla in accoglienza e amore.

È buono perché, pur mostrando le ombre, celebra la luce.

È un libro “buono” L’altra parte di me, perché parla d’amore, amore in tutte le sue declinazioni: tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, tra amici, tra fratelli, tra coppie consolidate e soprattutto di quell’amore romantico, che tutti abbiamo sognato, vissuto, cullato, quell’Amore con la A maiuscola, che ognuno di noi conserva nella parte più intima del suo cuore, pronto ad esplodere nei momenti più inaspettati.

Questo romanzo dà speranza. Dice ai piccoli spaventati che l’amore non è disperazione, ma gioia; che la felicità si può raggiungere, solo con un po’ di coraggio, allungando la mano; che gli adulti non sono il nemico, ma persone che li amano e che, a volte, sono spaventate quanto loro e hanno solo bisogno di un po’ di tempo, pazienza e amore, esattamente come loro.

Dice a noi adulti che i nostri piccoli non sono mostri, se si rivelano diversi da come ce li aspettavamo; che loro, anzi, sono sempre diversi da come ce li aspettavamo ed è proprio questa la loro bellezza, la loro unicità!

Dopo aver letto il libro, l’ho consigliato alla mia Dirigente, che, oltre ad occuparsi (egregiamente) di un migliaio fra bambini e ragazzi dai 3 ai 19 anni circa, è anche madre di due ragazzi adolescenti e che un giorno mi ha detto: “Lo lascio apposta qua e là, in giro per casa. Chissà che a qualcuno non venga la curiosità!”

Molte delle mie alunne, che hanno letto il libro e hanno avuto modo di parlare con Cristina Obber e di confrontarsi con i loro compagni di scuola, ne sono uscite rinfrancate, alcune estasiate. Una ragazza eterosessuale, anche se il problema non la riguarda personalmente, ha voluto affrontare la questione con la sua mamma cattolica un po’ troppo tradizionalista; un’altra mi ha detto che le piacerebbe parlare con calma con ragazzi/e omosessuali, per capire meglio il loro vissuto, al di fuori degli stereotipi; un’altra, non so di quale orientamento sessuale (e nemmeno mi interessa saperlo) mi ha ringraziata mille volte per questa opportunità e come lei altre nei giorni successivi; ragazzi che facevano fatica a comprendere e ad accettare, parlando fra loro hanno cominciato a capirsi e ad accogliersi più sinceramente e profondamente.

Credo che di omosessualità e di omofobia si debba parlare, perché parlare aiuta a comprendere e comprendere normalizza atteggiamenti e rapporti e i nostri ragazzi, TUTTI, hanno diritto alla “normalità” e all’ “indifferenza”, ma soprattutto hanno diritto ad amare ed essere amati sinceramente, senza riserve e senza paura.

Lorella Bruno

Liceo Classico “E. Duni” – Matera