Oggi è il Denim Day, la giornata istituita 15 anni fa dall’associazione Peace Over Violenze in risposta alla sentenza della Cassazione che in Italia assolse un uomo dallo stupro di una ragazza perché indossava un paio di jeans. E in questa giornata lanciamo la sfida di pubblicare articoli con lo stesso titolo: “Perché non ho denunciato”.
L’iniziativa è promossa da un gruppo di giornaliste che invitano tutte le altre, giornaliste e blogger, a fare proprio il titolo e l’immagine. E invita tutte le altre donne a raccontarsi rispondendo a: Perché non ho denunciato
Io lo faccio con le parole di Veronica, stuprata a 21 dai suo “amici”, (Tommaso e altri due) nel campus universitario.
Non l’ho detto a mia mamma. Primo perché mi sentivo in colpa, poi perché con lei avevo un rapporto molto forte, molto confidenziale. Mi chiedevo -Ma se io sto così tanto male, se io mi sento così scarnificata, come mi sentirei se questo fosse accaduto a mia figlia?-
Allora mi pareva di percepirlo quel dolore ancora più straziante, ancora più insopportabile, che può appartenere solo a chi ti ha dato la vita, a chi ti ha avuta nella pancia. Mi pareva di sentirlo addosso a mia mamma, quel dolore, e non avrei mai voluto.
Per questo ho deciso di non raccontarle nulla, con fatica, per proteggerla. Non ho denunciato. Perchè un po’ me lo meritavo; questo sentivo: colpevoli loro, colpevole io.
Eppure sarebbe bastato farmi visitare prima di lavarmi, farmi fare un prelievo vaginale, lo sperma era ancora tutto lì. Non l’ho fatto. Non sono stata consapevole di me.
L’unica cosa che vorrei, se tornassi indietro, è essere accanto a me in quel momento, e farmi rimanere in clinica. Quella sera io l’ho sentita una voce, non so se fosse il mio inconscio, il mio angelo custode o chi altri, ma quella voce mi ha detto -Sei in un ospedale, ti devi ancora lavare, c’è un pronto soccorso…-
L’unica cosa che vorrei adesso è ascoltare quella voce e farmi visitare. Invece non l’ho detto a nessuno, solo a Silvia e a Sara, che è ancora la mia migliore amica. E a Mattia (Mattia è il fidanzato che Veronica aveva al tempo dello stupro) Sara ha insistito tanto perché io denunciassi, poi ha visto che ero un muro e che mi faceva male, e ha desistito.
Mattia, uscito dall’ospedale, era tornato da me. Ironicamente, dopo un mese, ha preteso di avere rapporti. -Io non sono disposto ad aspettare che tu superi- diceva – devo averti, non posso stare con una persona che l’ultima volta l’ha fatto con qualcun altro. – Lui pretende e io accetto.
Non dimenticherò mai l’umiliazione alla quale ho scelto di sottomettermi. Non è stato peggio, ma altrettanto brutto. La cosa strana è che io continuo a vergognarmi di me e non di Mattia, e non di loro. Non mi sconvolge quello che hanno fatto gli altri, mi sconvolge quello che ho fatto e quello che non ho fatto io.
Perché non denunci?
A me viene da ridere quando sento dire così. Sono tutti bravi a parole. Parlano dello stupro come una denuncia facile da fare. Qual è la prima cosa che fa una che ha subito violenza? Prende, da sola, e corre, e va dai carabinieri. E’ capitato ad altre, sono andate dai carabinieri, ma lo puoi fare se quelli non li conosci. Se non li conosci, l’hai subita e basta.
Quando ti capita che la violenza te la costruisci anche tu, quando interagisci con le persone che poi ti violano, quando ti capita di vivere con loro prima, è molto diverso. Quando ti capita che a violentarti è un tuo familiare, o un tuo amico, o tuo marito, è un’altra storia. Noi rimaniamo persone. E in quanto persone abbiamo l’istinto di prenderci la responsabilità di quanto accade. La responsabilità diventa l’unica arma che abbiamo, io me lo ricordo perfettamente il meccanismo: se noi possiamo essere responsabili almeno di qualcosa di quello che ci è capitato, questo ci da’ il potere e l’illusione di pensare che allora avremo il potere anche di impedire che ci ricapiti.
E’ importante sapere di avere potere. E’ importante sapere di essere responsabili. Non complici, ma responsabili. La responsabilità tua è l’unico modo che hai per sapere che se la prossima volta non darai confidenza, se non sarai ingenua, se starai attenta, allora non ti capiterà. E’ indispensabile, quando ti capita in questo contesto.
E’ un concetto del cazzo ma la pensi così.
E avevo bisogno di Mattia per sentirmi in qualche modo protetta. Ho accettato di farmi stuprare in un certo senso anche da lui per far crescere il mio senso di colpa e quindi la mia responsabilità. Mentre lui mi penetrava sapevo che mi stavo facendo del male da sola. Lui era stronzo, ma ero più stronza io.
Quella responsabilità è quella che ti tiene a galla. Fino a che non cadi. Perché prima o poi cadi, perché prima o poi ne devi parlare, perché prima o poi la devi affrontare, perché più te la tieni dentro più ti rovini. Avevo smesso di truccarmi, di portare i tacchi, la gonna. Tenevo i capelli legati. Non andavo più nei centri commerciali, nei bar. Avevo paura degli spazi aperti. Andavo a lezione solo se avevo un’amica alla mia destra e una alla mia sinistra, perché avevo paura che qualcuno mi toccasse. Mi dava fastidio anche un abbraccio.
Poi sono diventata un mostro. In famiglia ero intrattabile, con mia madre litigavo e basta, e non riuscivo a dirle niente perché lei sarebbe morta di questa cosa. Alla fine i miei erano più contenti se rimanevo a Verona anche nei fine settimana. Sono diventata un mostro per un motivo: dovevo affrontare un anno e mezzo tragico. L’anno e mezzo di test per hiv e varie malattie veneree. Quando ti rendi conto che devi farlo stai di merda, hai paura. Una paura pazzesca. Devi trovare il coraggio di andare all’ospedale a fare il test e per trovare quel coraggio ci ho messo due mesi. Mi ci ha costretto Sara, non poteva più vedermi così, non poteva accettare quello che stavo vivendo.
Mi ha accompagnato lei. C’era un’infermiera molto gentile, mi chiese perché ero lì. Dissi di aver avuto dei rapporti non protetti ma non per mia scelta. Lei capì tutto e disse:
-Devi tornare tra sei mesi-
e poi disse: -Devi denuciare.-
– E’ passato troppo tempo –
– Non importa – devi denunciare.–
Promisi ma non lo feci mai.
questa è una parte della testimonianza di Veronica dal libro Non lo faccio più.
il Denim day: http://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-non-ho-denunciato/#more-57544
Nadias (Fatto)
Bettirossa (il Manifesto)
Lipperatura (Repubblica)
La27ora (Corriere della Sera)
e Il corpo delle donne