Dal Nicaragua apprendo via whatsapp che sono stati ritrovati oggi 21 desaparecidos, tutti morti.

Ero in Nicaragua nel 1988, vi ho trascorso quattro mesi. Il 19 luglio 1988, anniversario della Rivoluzione sandinista del 1979 che aveva sconfitto il dittatore Anastasio Somoza, eravamo in tanti nella capitale, su un immenso prato, durante i festeggiamenti ufficiali. Sul palco c’era Daniel Ortega, uno dei comandanti della rivoluzione più acclamati da quel popolo che oggi è sceso in piazza, unito, contro il suo tradimento. Anche io ho applaudito al suo discorso e oggi ciò che sta accadendo mi addolora nel profondo.

Il governo di Ortega (è in carica dal 2006, al terzo mandato, grazie a una riforma costituzionale che gli ha garantito la rielezione) è una dittatura, non c’è libertà di stampa né di espressione, il dissenso è sempre stato represso duramente come accaduto con la rivolta pacifica iniziata il 19 aprile scorso e in cui l’esercito ha manganellato i manifestanti disarmati e sparato ad altezza uomo. 28 i morti, tra cui un 15enne e un giornalista, Angel Gahona, colpito alla testa da un proiettile mentre stava trasmettendo una diretta Facebook.

Sono decine i feriti e decine sono di studenti arrestati e rilasciati soltanto dopo una nuova manifestazione e la disapprovazione nazionale e internazionale.

Il disperato appello contro la violenza del vescovo ausiliare di Managua, Silvio José Baez è stato ripreso anche dal Papa. Il vescovo si è detto pronto, con la Conferenza episcopale, a mediare con l’obiettivo di aprire un dialogo e aprire la strada della democratizzazione del paese, ma è molto diffidente rispetto alla buona fede di Ortega. La protesta è stata così estesa che il governo non ha potuto sedarla né silenziarla.

Non è stata organizzata da un partito o un movimento politico, è stata una manifestazione spontanea nata tra la gente.

È la ribellione degli anziani che un tempo hanno combattuto per la rivoluzione sandinista ed è la ribellione dei giovani dal futuro sempre più incerto perchè le promesse di giustizia sociale e libertà sono state seppellite da anni di corruzione, censura e impoverimento di tutte le classi sociali che hanno sfilato unite nei lunghi cortei in tutto il paese.

Le casse del paese sono vuote e così pure quelle degli istituti di previdenza, in attivo prima del governo Ortega.

Proprio la classe operaia, che più di tutte ha combattuto per il sogno sandinista, ha visto morire i suoi figli tra le montagne, e che dopo il governo filo americano di Violeta Ciamorro ha fortemente voluto Ortega al governo, si è vista lentamente derubare di tutto, dei risparmi, dei salari, della speranza.

La riforma previdenziale che ha scatenato le proteste di questi giorni è solo l’ennesima beffa ad un popolo sempre più affamato, e poco importa se a seguito della rivolta la riforma è stata ritirata.

La gente ha bruciato le bandiere rosse e nere simbolo del Fronte sandinista e le strade si sono riempite di bandiere bianche e azzurre, simbolo del paese, un paese che non si sente più sandinista. La rivoluzione del 1979 è finita. Oggi la nuova rivoluzione è iniziata pacificamente ma la repressione sanguinaria rischia di scatenare una guerra civile.

La gente ha dato fuoco e demolito i 300 Alberi della vita, installazioni in ferro colorato con cui Ortega e la first lady Rosario Murillo hanno abbellito una città e che li rappresenta, rappresenta il loro potere e la loro oppressione.

 

Il governo ha cercato di attribuire la protesta a dei facinorosi, ma la verità è che hanno manifestato tutti, uomini, donne, e persino i bambini come si vede in questo video che mi è arrivato ieri sera dalla cittadina di Masaya.

Ci sono gli sciacalli che approfittano del caos per saccheggiare i supermercati, ma testimoni raccontano di polizia che non interviene, che filma, facendo emergere il sospetto che siano addirittura saccheggi pilotati dal governo per screditare i rivoltosi.

Anche le scuole sono chiuse. Nelle strade la gente ha erto barricate con, sacchi e mattoni, si lanciano pietre contro la ‘gioventù sandinista’, una sorta di squadrismo che ricorda le camicie nere fasciste.

Gli studenti liberati sono usciti dal carcere ‘La Modelo’ di Tipitapa erano scalzi e con la testa rasata come si vede in quest’altro video.

 

Si dice che ci siano ancora più di 60 desaparecidos.

I canali televisivi che mandavano in onda la cronaca delle proteste sono stati oscurati, la censura sta pesantemente penalizzando il lavoro dei giornalisti, alcuni dei quali hanno subito un attacco che è apparso finalizzato proprio a colpire la stampa ostile al governo. Nelle strade la gente sfila tenendo alti i cartelli con i volti  degli studenti assassinati.

Nel resto del mondo e in Europa le notizie arrivano frammentate e come accadde con la primavera araba sono i social network i mezzi di comunicazione attraverso cui soprattutto gli studenti, particolarmente colpiti nella sede dell’Università, il Politecnico di Managua,  documentano ciò che sta accadendo.

In loro sostegno ci sono state manifestazioni in vari paesi, non in Italia.

Dal Nicaragua ci chiedono aiuto, chiedono che il mondo non stia a guardare.