Articolo pubblicato su La 27esima ora del Corriere della Sera.

La circolare interpretativa del Viminale ha allentato le restrizioni per chi ha figli minori, dando la possibilità ai genitori, un adulto alla volta, di uscire di casa e permettere così ai bambini di passeggiare all’esterno. Molte le polemiche, c’è chi è favorevole e chi invece teme che si rialzino i contagi per l’impossibilità di controllare il rispetto delle distanze di sicurezza. Il premier Conte si è affrettato a smentire la circolare ma ha lasciato aperta la possibilità di portare con sè i bambini a fare la spesa. Ma quali sono le necessità dei più piccoli di fronte all’emergenzialità che stiamo vivendo? Ne ho parlato con Maria Squillace, terapeuta esperta di traumi dell’età evolutiva. Lei cosa pensa di questa apertura alla rigidità delle regole di prevenzione? 
«I bambini hanno bisogno di regole certe e di stabilità, li confonde pensare che fuori sia pericoloso, poi non più, poi di nuovo. Salvo i casi in cui vi siano forme particolari di disabilità fisica o problematiche per cui gli spazi chiusi possono acutizzare malesseri mentali, i bambini stanno bene anche in casa e possono prendere aria anche in piccoli terrazzini o balconi. Molto meglio pensare, dove possibile, di organizzare dei turni nei giardini condominiali, come già si è fatto in questi giorni, ma entro proprietà private. In strada l’impossibilità di avvicinare altri bambini può essere traumatico. Inoltre i bambini verrebbero strumentalizzati per soddisfare i bisogni degli adulti». 

Dentro casa invece, quali consigli possiamo dare ai genitori per alleviare il peso della situazione ai figli, nelle diverse fasce di età? 
«Ogni bimbo riesce a metabolizzare quello che vede, sente e percepisce, secondo le capacità cognitive legate al livello di crescita maturato. Per i neonati e i piccolissimi è forte il bisogno di accudimento soprattutto materno, e la nostra accuratezza nel non metterli in pericolo rispetto al coronavirus non vuol dire non garantirgli una risposta adeguata ai propri bisogni; si può trasformare ad esempio il cambio del pannolino in un momento magico dove alla abituale pulizia si accompagnino accarezzamenti e tenerezze e magari una canzoncina confortevole. Allo stesso modo il momento del bagnetto può riprendere la stessa canzoncina e privilegiare piccole affettuosità che sono fonte di serentità e sicurezza, magari con tempi più lunghi rispetto alle normali abitudini. Il contatto fisico avverrà dunque in modalità differenti ma rimarrà garantito. Quando ci prendiamo cura di loro, per disinfettarci le mani cerchiamo di usare prodotti con una profumazione delicata e gradevole all’olfatto, per non infastidirli. 

E per i bimbi nella fascia della scuola dell’infanzia? 
«Nella fascia dai tre ai sei anni non hanno le competenze di comprensione che gli facciano adeguatamente metabolizzare la situazione che stiamo vivendo. Capiscono l’esistenza di un pericolo ma non riescono a visualizzarlo, quindi in futuro potrebbero essere portati a mentalizzare che fuori casa il mondo è pericoloso, la “minaccia” è invisibile e dunque non riconoscibile. È facile capire che il fuoco è un pericolo perché si vede, perché se ci avviciniamo troppo fa male, ma il coronavirus non si può rappresentare. Con l’uso del linguaggio a loro più congeniale, quello della fiaba, si possono raccontare storie di facile comprensione in cui alla fine il cattivo come sempre muore e quindi non farà più male. È importante trasmettere la temporalità degli eventi con un inizio e un finale in cui il cattivo verrà sconfitto. Rassicurare i piccoli che il nemico invisibile non ci potrà mai più fare del male, ribadendo il senso della forza umana, in grado di trovare i rimedi giusti ed efficaci per difenderci anche da questo virus cattivo. Possiamo raccontare gli scienziati come super eroi che hanno poteri tanto grandi da inventare vaccini che uccidono il virus e non lo faranno tornare più. Se è giusto spiegare ai bambini che non si può uscire perché il pericolo è all’esterno, è altrettanto importante tranquillizzarli sul fatto che il mondo non rappresenterà per sempre un pericolo». 

Potrebbero sviluppare il timore di uscire, anche a emergenza rientrata? 
«Certo. Può aiutare anche incoraggiarli a disegnare se stessi all’esterno, proiettandosi in un futuro sereno in cui stare all’aria aperta senza avere paura. Bisogna fare attenzione a non enfatizzare troppo la giusta abitudine di lavarsi continuamente e con grande attenzione le mani. Nella mente del bambino potrebbe rimanere e registrarsi come una forma di difesa contro l’invisibile, come una modalità difensiva che può assumere un assetto traumatico anche importante. Il gesto di lavarsi le mani può essere proposto utilizzando l’espressione «trucchetto» per superare una difficoltà che va ribadito essere momentanea. Una volta superata la difficoltà e sconfitto il virus, non servirà più». 

E per i bambini della primaria? 
«Con i bambini che sono scolarizzati dai 7 ai 10 anni gli insegnanti, più che proporre ricerche sulle pandemie, i virus e i vaccini, potrebbero chiedere ai loro allievi come si immaginano il corona virus, utilizzando qualsiasi modalità espressiva a loro congeniale. Incoraggiarli a raccontare cosa gli fa più paura, cosa li spaventa e come si immaginano la fine di questo periodo. E’ su questo che bisogna, con il fondamentale aiuto dei genitori, trovare le risposte adeguate alle loro preoccupazioni, a paure e angosce che spesso rimangono taciute. Se le rassicurazioni arrivano corali e nelle giuste modalità per non confonderli, questo sicuramente permetterà di contenere molto lo stato di allarme. Un altro aspetto importante a cui possono prestare attenzione i genitori è la necessità di programmare giornate in cui dare spazio a giochi da fare insieme e con oggetti semplici che stimolano l’empatia e la creatività. Saltare alla corda ad esempio, garantisce impegno, attività fisica, e divertimento assicurato se partecipano anche gli adulti. Giocare con palle leggere atte di carta, che non causano danni in appartamento. Sfogliare un atlante geografico o un libro di immagini della Natura, per raccontare quanto è bello il mondo che ci aspetta, là fuori. Con i più grandicelli si può condividere una passione, magari dimenticata tra le cose che ci piacevano da giovani e poi la vita ci ha portato a trascurare, come la pittura, la recitazione, il lavoro a maglia, si possono creare inediti momenti di condivisione per arricchire momenti e spazi che non devono essere percepiti solo come mancanza. Sono sempre utili i giochi di società, le carte, che creano momenti che significheranno ricordi gioiosi e preziosi nella memoria». 

Occuparsi con obiettivi mirati dei figli riempirà anche giornate molto lunghe per gli adulti. 
«Basta veramente poco per non cedere al vuoto della televisione e dare significato a queste giornate che in realtà alla fine di questo periodo ci avranno lasciato sicuramente un grande insegnamento di vicinanza affettiva, ovviamente là dove la casa e la famiglia sono posti sicuri, e sappiamo che purtroppo non è sempre così. Ove lo è, dobbiamo ricordare che per poter fare le cose che abbiamo detto, per poter trasmettere ai più piccoli un po’ di serenità e la sicurezza che permetta loro di uscire da questa esperienza con traumi superabili nel breve termine, è necessario che come adulti sappiamo reagire alla paura mettendo in campo tutta la nostra resilienza»

Non è sempre facile riuscirci. 
« Certo. Stiamo vivendo il peggiore degli incubi che la nostra mente potesse immaginare, c’è un nemico invisibile che può essere ovunque e in chiunque. La paura, per chi è in grado di comprenderne la portata e la gravità dell’evento, ha assunto una condizione di angoscia congelata. Tutti noi ad esempio, davanti alle immagini delle bare che scorrevano sole, abbiamo gelato i nostri animi dissociandoci, per non pensare oltre al fatto che tra quelle salme ci potremmo essere noi e i nostri cari. È una difesa naturale ma qualcosa nelle nostre menti e nei nostri cuori si è frantumato. Siamo comprensibilmente disorientati da un evento così imprevedibile, devastante, incontrollabile e soprattutto irriconoscibile. Ciò che dobbiamo fare è reagire con gli strumenti che abbiamo». 

E quali sono? 
«Prima di tutto prenderci cura di noi stessi, a cominciare dall’immagine. Vestirci, truccarci, come facevamo prima, senza cedere alla pigrizia che significa trascuratezza e incuria, col rischio di vivere in tuta o in pigiama. Non siamo malati e al contrario mai come ora dobbiamo prenderci cura della nostra persona per noi stessi e per i nostri cari. Curare la propria immagine ci rende in qualche modo più assertivi. Siamo a casa ma siamo sempre noi e dobbiamo continuare ad esserlo. Indossare un paio di jeans puliti, una collana, continuare a farsi la barba o lavarsi i capelli come si faceva quando si usciva di casa ogni mattina, agevola la gestione emotiva del vivere in famiglia. Altro aspetto fondamentale da curare è considerare ogni giorno come un nuovo giorno da reinventare e riprogrammare mentalmente: cose da dire e cose da fare, privilegiando attività che in tempi normali abbiamo desiderato e a cui oggi possiamo dedicare del tempo. Questo ci aiuterà a provare soddisfazione, a riconoscere anche le occasioni che questo tempo ci dà. Solo così possiamo rivolgerci con il giusto stato d’animo ai nostri piccoli e giovani figli.

Cosa ci resterà collettivamente di questa tragedia? 
Quello che dovrà rimanere dentro ognuno di noi di questa esperienza sarà la forza interiore che siamo riusciti a far venire fuori con prepotenza, dando il meglio di noi stessi. E questo, oltre a ricordare quanta solidarietà e generosità ha testimoniato questo momento storico, dovremo e potremo raccontare alle nuove generazioni».